Internet e l'aborigeno

23 agosto 2007

Lost in Translation


Ieri ho rivisto per la quinta volta Lost in Translation (ma l'ho visto in lingua originale, ee).

E' uno di quei film, come il Favoloso mondo di Amelie, che mi colpiscono; con delicatezza, ma mi colpiscono.
E' la storia di un ex attore e di una giovane laureata in filosofia che sono nello stesso albergo, a Tokio, per motivi differenti: lui rincorre un lavoro e una paga ma anche un poco di tregua da una vita familiare che non lo coinvolge più; lei segue un marito sempre assente e, soprattutto, troppo distante da lei.

Tokio, nella sua diversità, con i suoi ritmi frenetici, ha una forza straniante impressionante. I personaggi si trovano, così, soli, persi, insonni, e questa "solitudine in mezzo a molti" (rappresentata dall'hotel, posto dove si è circondati di gente, ma si è, in fondo, estranei a tutto) fa da cassa di risonanza ai loro problemi, costringendoli a dare ascolto al ritmo della loro anima.

Come due profughi, persi in loro stessi, soli in un mondo che non conoscono, si riconoscono come anime affini e si avvicinano: due mondi distanti, quasi opposti, che entrano a contatto e si trovano bene insieme.

Tutto è raccontato per immagini, i dialoghi sono ridotti all'osso.
Tutto è raccontato dai luoghi, dai suoni soffusi (come rimbomba, ogni volta, il sibilo delle porte dell'ascensore che si aprono e chiudono), dagli sguardi e dalle smorfie (Scarlett Johansson e Bill Murray sono fantastici).

Questo è un film dove vince il non detto, dove tutto è sfumato, eppure, per me, così evidente.
Forse ho passato momenti simili, momenti in cui ho cercato me stesso, e tanto.
Forse non è un film per tutti: se non ci entri in sintonia, probabilmente rimane criptico, lontano, incomprensibile.
Forse ognuno, in quei non detti, mette ciò che vuole, e questo da noia a molti.

In effetti, il film non racconta, ma evoca: un piccolo viaggio spirituale, con scene accennate come i sorrisi di Scarlett Johansonn o le smorfie di Bill Murray.
Un film lento, silenzioso, accennato, delicato, mai invadente: per questo dirompente.

Ci sono mille scene che mi sono rimaste impresse.

La scena in cui si parlano, con aria noncurante ma profonda curiosità, spiega tutto un mondo: si può vedere la scena qui (eccone una traduzione sommaria: "Sai mantenere un segreto? Sto organizzando un'evasione, e sto cercando un complice. Prima dobbiamo scappare da questo bar, poi dall'hotel, poi dalla città, poi dal questo paese: ci stai o no?" "Ci sto, vado a preparare le mie cose" "Io aspetto al bar, bevo per prendere coraggio").

La scena in cui si addormentano insieme, sconfiggendo con la compagnia i fantasmi che li agitano , riuscendo finalmente a dormire, in cui l'unico punto di contatto sono i piedi di lei e la mano di lui, esalta un'affinità mentale che non si perderà nel rapporto fisico.

Le mille scene di Bill Murray con la sua aria ironica sul volto quando si confronta con un mondo così diverso e così lontano da lui (la scena della doccia, troppo bassa per lui; la scena della discussione con il regista, che parla per ore per esprimere pochissimi concetti; quella in cui, in ascensore, supera tutti di almeno un palmo; la scena della prostituta che vuole che lui gli "stlappi" le calze; la scena in cui parla in inglese ad un giapponese che prova a parlargli in francese) e le mille scene di Scarlett Johansson persa per la città (una su tutte, la scena della metropolitana) rendono l'idea della loro difficolta di comunicazione e di relazione, sono il simbolo del momento che si trovano a passare, quel sentirsi avulsi, staccati da tutto ciò che li circonda, fuori luogo, fuori tempo, fuori fuoco.

La scena del pranzo dopo che Bill Murray ha un rapporto con la cantante del piano bar, esprime, senza mai una parola detta ad alta voce o fuori posto, la tensione che c'è tra loro, tra la "gelosia" della Johansonn e l'imbarazzo di Murray.

La scena dell'imbarazzo tra di loro, in ascensore, l'ultima sera, scena che, senza dire una parola, mostra come lei desideri più attenzioni e come lui, seppur a malincuore, non voglia "sfruttare" la situazione.

Su tutte, poi, l'ultima scena, quel bisbiglio indistinguibile ma così chiaro, che chiude con estrema delicatezza tutta una storia.

E' un film che consiglio vivamente a tutti, ben sapendo che o lo ameranno e mi ringrazieranno, oppure lo odieranno e mi prenderanno, una volta in più, per pazzo.

6 commenti:

Ylenia ha detto...

Allora grazie.
:)

Ylenia ha detto...

Ovviamente l'immagine è quella di loro due sdraiati e i piedi di lei appoggiati alla coscia di lui!
:)

Renzo ha detto...

Sarà, ma io sono riuscito a vedere solo i primi 20 minuti, tutto il resto è noia. :)

TED74 ha detto...

AAAARRRGGGGG
Anatema su di te, Renzo!!
:-)
Scherzo, come ho detto c'è chi l'ha amato e c'è chi l'ha odiato

A me piace il "racconto per immagini", come stile, con il dialogo in secondo piano

E mi ci sono ritrovato...

Ale ha detto...

El Tercer Hombre - Il Terzo Uomo
Invio questo poema
(per ora accettiamo tale parola)
al terzo uomo che s'incrocio' con me l'altra notte,
non meno misterioso di quello di Aristotele.
Il sabato uscii.
La notte era piena di gente;
ci fu certamente un terzo uomo,
come ce ne fu un quarto ed un primo.
Non so se ci guardammo;
andava verso Paraguay, io verso Cordova.
Forse lo hanno generato queste parole;
non sapro' mai il suo nome.
So che c'e' un sapore che predilige.
So che ha guardato lentamente la luna.
Non e' impossibile che sia morto.
Leggera' cio' che scrivo e non sapra'
che mi rivolgo a lui.
Nell'oscuro avvenire
possiamo essere rivali e rispettarci
o amici e volerci bene.
Ho eseguito un gesto irreparabile,
ho stabilito un legame.
In questo mondo quotidiano,
che somiglia tanto
al libro delle Mille e Una Notte,
non c'e' un solo gesto che non corra il rischio
di essere un'operazione di magia,
non c'e' un solo fatto che non possa essere il primo
di una serie infinita.

Mi domando che ombre getteranno
questi oziosi versi.

Jorge Luis Borges


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Ale ha detto...
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